Costruire il futuro della lettura: una libreria in trasformazione, 6

In questa sesta puntata dell’indagine sul mercato del libro presentiamo l’esperienza di una libreria indipendente di Roma, intervistando Daniela Girfatti, libraia per bambini ed editrice.

Daniela Girfatti è nata a Caserta e ha vissuto ad Aversa fino alla laurea in Lettere Classiche presso la Federico II di Napoli. Trasferitasi a Roma, ha frequentato un Master in Relazioni Pubbliche Europee e ha lavorato per molti anni nel mondo del non profit e nel campo degli eventi e fundraising. Nel 2015 apre la libreria Read Red Road, nel quartiere di Piazza Bologna a Roma, con un catalogo selezionato di libri per bambini e adulti. Da allora la sua libreria è divenuta un luogo di ritrovo e incontro per genitori e bambini, ma anche per le scuole e gli adulti del quartiere attraverso i gruppi di lettura e le presentazioni degli autori. Nel 2018 fonda una casa editrice, che riprende il nome della libreria. La scelta coraggiosa di intraprendere un nuovo percorso professionale e di vita è raccontata nel libro Finché un giorno. Come cambiare vita a quarant’anni e stare da favola in mezzo alle favole (Edizioni Efesto, Roma 2016).

Il centro Gramsci di San Marino si è avvicinato al tema delle librerie partendo dalla distinzione gramsciana tra lettore economico e lettore ideologico . Poi abbiamo sentito però l’esigenza di intrecciarla con la realtà quotidiana dei librai, per come loro stessi la raccontano. Quello che volevo domandarti era quindi come tu vivi questa doppia natura della libreria, di esercizio commerciale e al tempo stesso di presidio culturale.

La prima cosa che mi viene da dire è che le piccole librerie indipendenti cominciano a fare fatica a resistere, proprio perché sono le uniche che funzionano come presidio culturale. Nella grande distribuzione non si trovano nemmeno più librai ma commessi. Questo naturalmente parlando solo dell’offline, non dell’online. Ciò significa che noi facciamo una fatica immensa a vivere come esercizio economico. Nel senso che al bando di turno io devo sempre, obbligatoriamente partecipare, perché mi serve per fare cassa, però mi richiede un impegno che è stravolto dalle logiche esterne. Esempio: il bibliotecario mi domanda, per un ordine, una lista di titoli, questi sono disponibili su Amazon ma non sono disponibili presso il mio grossista. Perché? Perché la scelta che fa la grande distribuzione è: vado a rifornire prima Amazon e le librerie di catena, tralasciando le piccole. Peccato che senza le piccole librerie la conoscenza del libro e la promozione della lettura non avvengono più. Ovviamente c’è un monopolio, che risiede nelle mani della distribuzione che, con una serie di appartenenze societarie, favorisce necessariamente le librerie di catena. Se esce una novità, che per un motivo qualunque io ho dimenticato di prenotare, come libreria indipendente quel libro lo avrò dopo Amazon. Ciò sconvolge chiaramente le dinamiche. Questo perché di solito chi sceglie di essere un libraio indipendente punta alla promozione della lettura, ci si dedica, investe tempo, pensieri, risorse e poi, ti assicuro che – a un certo punto – emerge proprio la stanchezza. Si lotta da un lato con l’iperuranio delle idee, l’assenza assoluta di concretezza del pubblico, che però serve per fare cassa, e poi dall’altra parte si prova a fare quello che viene da dentro, che è portare in giro i libri. Portare in giro i libri, però, vuol dire che io chiudo la libreria: per andare nelle scuole, per andare alle fiere, o pago delle persone che mi sostituiscano, oppure chiudo la libreria. E quindi l’idea di presidio culturale, che per me è prioritaria, fa a pugni con quella di soggetto economico.

Parlando proprio dell’oggetto libro c’è poi anche un problema di costi a monte: il libro per adulti esce con un prezzo di copertina medio di 18 euro circa. Sai quanto significa 18 euro per una famiglia media, che voglia comprare dei libri? Una cifra importante nel bilancio familiare. Dove mi trovo io, a piazza Bologna, che è un quartiere non di periferia, dove esiste una capacità di spesa, non esiste una biblioteca; e questo è un danno, sia perché la promozione della lettura vive delle sinergie sul territorio, sia perché non tutti possono acquistare un libro a settimana per tutta la famiglia. E quindi si crea un cortocircuito. E io, da editrice oltre che da libraia, mi domando: perché esci con un prezzo di copertina di 18 euro quando io so che a te quel libro, sì e no, ti sarà costato un terzo? Ci vuoi mettere tutta la filiera, la promozione, gli anticipi, i diritti, quello che vuoi, ma non è giustificato un prezzo così elevato.

E qui torniamo alla distanza tra le grandi e le piccole librerie. La differenza fondamentale sta nel fatto che le piccole decidono qual è il bestseller del mese, qual è la novità che si vuole promuovere, fanno una ricerca; le grandi invece vivono oramai da tempo soltanto sulle novità. Sullo scaffale principale trovi cinque titoli, che sono passati in televisione probabilmente, e camminano da soli… e non sono tutti libri di valore. Sono quelli che definisco i libri facili, che si vendono un tanto al chilo. Li metti là e si vendono, senza sforzo. Il lavoro che faccio io, come tutti i piccoli librai, è quello di raccontarti che oltre Le braci, di Márai puoi leggere anche La donna giusta, ma te lo devo raccontare. E la mia è una vendita che presuppone una lettura, un tempo, un riconoscimento della persona che mi viene davanti, e una domanda, una chiacchierata. Quella è fatica, è passione, certo, ma è tempo che sottraggo a tutte le altre cose di un’attività commerciale, che sono anche bolle di accompagnamento, burocrazia, fatture, amministrazione, ecc. Tutte cose che io faccio dalle 9 alle 10, dopo aver accompagnato mio figlio a scuola, nella pausa pranzo che non è più una pausa pranzo, dopo cena. E a quel punto ti chiedi: ma ne vale la pena? E ti fermi.

Una questione che ha generato un po’ di dibattito, almeno tra i librai che abbiamo raggiunto noi, è quella del sostegno statale alle librerie. Dopo il nuovo Piano nazionale per la promozione e sostegno della lettura approvato a marzo 2020, che ha tra l’altro fissato al 5% il tetto massimo di sconto, quali ulteriori interventi sarebbero auspicabili?

Sicuramente degli interventi sistemici, non una tantum. Mi viene da tornare alla mia esperienza. Domenica ho fatto un laboratorio di scrittura con Antonio Ferrara, autore, cui hanno partecipato anche due docenti. Queste insegnanti sono poi venute ieri in libreria e mi hanno chiesto di fare un gruppo di lettura per docenti. Parlando con loro, ascoltando la loro esigenza, mi è arrivata conferma di un dato, forse banale, ma fondamentale: non si legge in Italia. Se tu guardi i dati dell’ultima ricerca AIE, è vero che durante la pandemia sono aumentati i lettori, ma in particolare è aumentato il numero di libri letti dai lettori forti. Quindi tu l’intervento lo devi fare dal basso, congiunto tra libreria, biblioteca, docenti. Ora tu, lo Stato, puoi anche dare i soldi a me, che va benissimo, però mi devi dare tempo, mi devi agevolare sulla burocrazia, togliere tutta una serie di gravami per cui io possa muovermi e liberamente andare a fare promozione della lettura. Devi favorire l’invio di copie omaggio che io possa girare ai docenti, perché se il docente legge, poi il lavoro che abbiamo fatto arriva giù, agli altri potenziali lettori. Se io intervengo sul lettore piccolo, la fascia 0-6 anni, quello che ho di ritorno, dopo sei anni di attività, è che mi trovo un genitore che ricomincia a leggere. Ma tu devi lavorare sul piccolo, noi i bambini li dimentichiamo!

Penso anche alla questione delle biblioteche scolastiche…

Sono chiuse! Sono diventate aule, non esistono più nella maggior parte delle scuole [Per una panoramica sulla situazione delle biblioteche scolastiche, vedi le relazioni al Primo Convegno nazionale delle Reti di biblioteche scolastiche].

Devi fare formazione, promuovere bandi con il servizio civile. I bibliotecari o i responsabili, quando ci sono, non hanno un gestionale, hanno ancora le liste cartacee. Questo è un paese che non investe realmente in una promozione della lettura dal basso, mentre è quello che servirebbe. Allora io posso, volontariamente, fare delle cose, le insegnanti che vengono da me sono persone che normalmente dedicano, in modo volontario, alcune ore a questo lavoro, ma più di tanto non è possibile. È necessaria una struttura che in modo sistematico metta a frutto esperienze, conoscenze. Invece ci troviamo nella situazione in cui le biblioteche scolastiche diventano delle aule, i libri sono dispersi e spesso è difficile anche accedere agli istituti. La settimana prossima [20-28 novembre 2021] c’è l’iniziativa #ioleggoperché e non hai idea delle difficoltà per entrare a fare gratuitamente una lettura ad alta voce, in giardino, all’aperto, distanziati. Poi noi siamo bravi, inventiamo comunque delle modalità: se la scuola non consente l’accesso io realizzo un video. La tecnologia aiuta e i librai sono mediamente giovani, quindi da questo punto di vista ci diamo da fare in molti. Però è tutto lasciato alla sensibilità del singolo. Perché poi la cosa bella, vera, è che se tu la promuovi la lettura il bambino si appassiona.

Sarebbe bello che nelle scuole ci fosse la figura del lettore ad alta voce, del narratore: una figura strutturata che, una volta a settimana, possa incontrare le classi e promuovere letture e laboratori. Strutturata, regolare, costante, e per tutti. Immagini cosa potrebbe accadere?

In parte mi hai già detto dei problemi di distribuzione, ma mi sembra che lì, sulla questione dei resi anche, ci sia una delle difficoltà maggiori.

Prima esisteva il meccanismo del conto deposito, cioè l’editore apriva un conto al libraio, per cui gli consegnava delle copie e poi ogni 3, 6, 9 mesi, si concordava, facevi il rendiconto. E pagavi il venduto. Quindi io ti ho consegnato 100 libri, dopo 3 mesi quanti ne hai? Ne ho 40. Quindi ne hai venduti 60, questi 60 io editore te li fatturo e tu li paghi. Quindi pagavi sul venduto. Oggi questa cosa non esiste più, dunque l’editore si fa pagare prima. Ti fa uno sconto più alto, ma con un pagamento anticipato, oppure ti fa un pagamento a 30/60 giorni con uno sconto più basso. Questo significa che io compro e pago libri che non ho ancora venduto. Ovvero mi espongo economicamente, ed è tanto per un prodotto che ti dà un margine del 30%, perché questo è lo sconto che viene applicato, 30, 35%. Con cui io devo pagare tutto. Da quello sconto, da quel margine, devo fare uscire l’affitto, l’utenza, il pacchetto, la spedizione se la faccio, la busta imbottita. Sono tutte cose che sono a mio carico, ovviamente. E questa cosa è sempre più stringente, quindi quelle che possono sopravvivere sono le librerie di catena. Ieri ho preso contatto con un noto autore per ragazzi: gli ho detto che avevo una classe interessata, che avrebbe comprato il suo ultimo libro, proponendogli di fare un incontro. La richiesta è stata di 250 euro più IVA per un’ora online. Se la richiesta l’avesse fatta una libreria di catena, una di quelle che, magari, è anche la casa editrice del libro, allora l’autore verosimilmente, per contratto, si sarebbe mosso gratuitamente. Capisci di che parlo? Naturalmente fai una selezione tra le case editrici indipendenti, instauri collaborazioni con loro, tessi relazioni però poi ci sono cose che, oggettivamente, sono valide e le pubblicano soltanto i grandi editori e lì, necessariamente, ti imbatti in logiche con cui non puoi fare niente. Questo meccanismo fa venire meno l’idea di fare le cose per niente, non esiste.

In Austria, a Vienna, c’è questa libreria, la Hartliebs Bücher, che ha due sedi e per altro ha anche una sezione in italiano e una in francese. Nel libro che ha dedicato alla sua scommessa di fare la libraia [P. Hartlieb, La mia meravigliosa libreria, trad. di J. De Angelis, Lindau, Torino 2019], la Hartlieb racconta che di solito a Natale ricevono dagli editori le copie omaggio dei libri, per le recensioni e la promozione. Qui in Italia non esiste, il libro va ai blogger, ai giornalisti, raramente ai librai. Quindi magari io prendo una copia tra quelle che ho acquistato e la devo tenere in un certo modo, se poi voglio rimetterla a scaffale e venderla. Se tu editore mi dessi una copia, anche non finita, una bozza quasi definitiva, cioè una cosa che a te costa due lire, sarebbe tutto molto più semplice. Quello che manca è il rapporto con la realtà. È pensare che un’iniziativa valida come #ioleggoperché, per esempio, non la puoi fare a ridosso del Natale, perché per me, da libraio, è un caos. Non hai idea della dimensione della libreria, del fatto che io avrò scatole, ordini, persone che non possono entrare. Davvero c’è un pensiero che non ha nulla a che vedere con il concreto. [In riferimento a ciò, vedi anche il comunicato del direttivo romano dell’Associazione librai italiani in merito alla Fiera nazionale della piccola e media libreria, Più Libri Più Liberi, organizzata ogni anno a Roma nel mese di dicembre].

Che ruolo svolge la libreria nel tessuto sociale?

Se vieni a piazza Bologna e chiedi “Mi indichi la libreria di Daniela” ti ci portano. Questo lo posso dire con gioia. O è così o non esiste, per me. È che la libreria diventa comunità, va oltre. È proprio il rapporto che tu crei con le persone, ma perché hai interesse. Si tratta di accogliere le domande e farle diventare ricerca. “Ce l’ha questo libro?”. No, però mi informo: “Ma per che cosa le serve?”. “Perché sono neuropsichiatra e sto lavorando su questo tema”. E tu studi. Noi dobbiamo, uso non a caso un indicativo, riscoprire questa attitudine e alla ricerca. Ci sono delle cose che ti toccano, e tu ci vai dietro e poi ti aprono delle strade e delle conoscenze inaspettate. Però devi essere aperto a questa domanda ed essere interessato a capire.

Mi colpisce questa capacità, di cui parli, di stare dietro alle impellenze economiche, perché la libreria resta sempre un esercizio commerciale, salvaguardando però la libertà di seguire le sollecitazioni, le ricerche che si presentano…

Esatto, quindi nella mia libreria puoi anche non trovare la novità. Perché la novità non è necessario averla, secondo me, perché devo per forza avere l’ultimo libro pubblicato? Questa è una libertà che io mi assumo, con tutti i rischi che poi comporta in termini di sussistenza stessa dell’esercizio commerciale. Però ti cadono le braccia quando pensi: perché una grande libreria di catena che ha, sulla carta e nella realtà, tutte le possibilità per avere accesso a qualunque titolo, ha un personale che rimane fermo a ciò che è sullo scaffale. Che guarda nel gestionale il titolo esatto e poi ti dice: “No, non ce l’ho”, “Grazie”. Invece dovrebbe essere: “No non ce l’ho, però le potrei proporre questo…”. Nove su dieci non accade. Serve sicuramente aver studiato, aver letto. E torniamo al punto: quanti librai lettori esistono ancora nelle grandi librerie?

Ecco, su questo mi viene un’altra questione: come avviene per te la scelta dei titoli?

Sicuramente confrontandomi con il mercato, seguendo esperti e appassionati, scambiando informazioni con altri librai e con gli autori che conosco, guardando le pubblicazioni dell’editoria per ragazzi, seguendo i premi, le fiere, le riviste di settore.

Ci sono poi le bibliografie che nascono seguendo filoni o autori, per cui se di un autore esce una novità vado a ripescarmi le pubblicazioni precedenti, che magari possono essere interessanti. E poi nel mio caso la selezione avviene, e questo fa parte molto del ruolo della libreria come presidio culturale del quartiere, assecondando l’età di crescita dei bambini. Avendo uno spazio dato, quindi non potendo mettere dentro 10.000 titoli, perché non avrei proprio la capienza sufficiente, cerco di assecondare quella che è l’utenza. Quindi ora la libreria, che era nata con una fortissima area 0-3, sta diventando importante anche nella fascia della primaria e in parte anche della secondaria. Perché i bambini sono cresciuti. Quelli che avevano 3 anni quando la libreria ha aperto adesso ne hanno 9 e i fratellini magari sono più grandi, quindi tu vai pian piano ad ampliare il catalogo.

Poi non è detto che ci siano tanti titoli interessanti nelle novità, non sempre trovi il capolavoro. Quindi l’idea è quella di avere il capolavoro, che devi comunque proporre, La storia infinita ci deve comunque stare in libreria, Roald Dahl deve esistere in libreria, Gianni Rodari, Bianca Pitzorno solo per citare i nomi di autori che ci sono cari, e poi titoli appena usciti che vedi però che hanno un senso. Ovviamente anche questo significa che tu libraio devi leggere, conoscere. A volte io vado negli store grandi a curiosare, passo le mattinate a guardare cos’è uscito e cosa mi può interessare e poi faccio gli acquisti.

È bella questa idea che la libreria si trasformi man mano che l’utenza muta, nel tuo caso specifico man mano che i bambini crescono.

Per forza! È il bello della piccola libreria, che è viva e mi dà la libertà di poter fare questa cosa. Pensa se fossi ingessata in una di catena che mi impone di avere obbligatoriamente dieci titoli di un certo autore. Però significa anche che tu vedi chi hai di fronte, nel mio caso vedi il bambino nella sua fase di crescita. È riuscire insieme a proporre qualcosa e a seguire quello che ti viene proposto. Sai quanti titoli mi arrivano direttamente da loro? “Ma tu non hai letto questo?”. No, e allora te lo portano, te lo fanno leggere, te lo prestano. Questa è una cosa bellissima: il prestito alla libraia. “Te lo porto io, ma tu leggilo, se ti piace poi lo metti a scaffale”. Questo è bellissimo, perché vuol dire che i bambini che frequentano la libreria sanno che si possono permettere con me un rapporto di questo tipo. A me come libraia interessa molto quello che mi propongono, non riuscirei a leggere tutto, non riuscirei a tenere presente tutto, e invece loro ti portano delle cose. Ecco, questo aiuta molto alla creazione del catalogo. È lo scambio. E aggiungo che tantissimi libri li ho scoperti così, con le parole scambiate mentre fai un pacchetto, con le signore più adulte che ti guidano alla scoperta di autori per te ancora sconosciuti. Una ricchezza infinita di cui sono quotidianamente grata.

Poi, per essere concreti, ovviamente ho aderito a Bookdealer, a Libri da asporto, fatto il bando per avere lo shop online. Tutte cose che la pandemia ha favorito. Anche lì, ti ci devi mettere, studiare e attivarti. E sono strumenti che vanno usati. Quindi poi se tu, che sei un acquirente, vuoi andare su Amazon per un 5% di sconto è una tua scelta, ma io ti ho offerto tutte le alternative. Il problema è che questa modalità di acquisto online, di consumo, sta cambiando proprio la testa. Sta facendo perdere il gusto dell’attesa, dell’accettazione del no. “No, non c’è adesso, arriva tra una settimana”. E qualcuno rinuncia a prenderlo da te. Questo è drammatico, anche con gli ordini. Per esempio, sempre sui resi, le persone pensano che io possa comprare un libro singolo, quando invece io devo raggiungere un minimo di valore economico perché i libri possano essere spediti quindi a volte un titolo tarda ad arrivare perché tu aspetti di mettere insieme più prenotazioni.

Allo stesso modo non posso rendere un solo titolo.  Perché rendere un titolo alla volta ha un costo. Il punto è che questa modalità, che ha una sua logica, non è quella di Amazon e allora iniziano i problemi. Perché tu utente mi prenoti un libro, io non ti faccio pagare la prenotazione (invece dovrò cominciare), arriva, lo guardi e mi dici “Non mi interessa, lo rimando”, solo che qui è diverso. C’è una filiera da rispettare, dei costi da sostenere, delle tasse da pagare. In una libreria fisica italiana, quel meccanismo di mordi e fuggi, prenoto e rendo, non può funzionare. Per competere con il mercato online sono importanti le iniziative come Bookdealer o Libri da asporto, che ti offrono un’alternativa italiana che valorizza il tessuto delle librerie. Ma perché lo fa il privato e non lo fa il pubblico? In uno di questi bandi a pioggia occorrerebbe proporre un database, uno strumento utile per la digitalizzazione del commercio librario.

In Repubblica ceca esiste, da dieci anni, uno strumento di questo tipo, dedicato alle librerie dell’usato: Můj antikvariát. Un motore di ricerca specializzato, gratuito, che cerca di indicizzare e mettere in rete le librerie dell’usato ceche.

Bellissimo! Ecco, quello dell’usato è un altro filone al quale mi dovrò appassionare, perché questi genitori che comprano tanti libri per i bambini a un certo punto, quando i bambini sono cresciuti, devono cambiare i titoli e non hanno più spazio. Che farci allora? Ma per poter aprire a ciò la libreria devi dialogare con la burocrazia e aprire una SCIA, cioè un’autorizzazione alla vendita dell’usato, che significa fare un passaggio tra carte e nuovi costi, e il tutto è reso complicato dal fatto che la digitalizzazione della pubblica amministrazione è, spesso, una finta digitalizzazione, per cui tutto quello che è digitale va stampato, firmato, scansionato, ricaricato. E questo ha una ricaduta estremamente gravosa per i piccoli commercianti.

Questo discorso dell’usato è l’esempio concreto di quello che dicevamo prima, che la libreria deve stare dietro al movimento dei clienti, nel mio caso dei bambini. La resistenza va esercitata contro un sistema che tenta di irrigidire tutto, quindi anche di fermare, tu invece come libreria sei necessariamente movimento, devi esserlo. I bambini sono movimento. E questo approccio è sconvolgente per le persone, che non ci sono più abituate: “Ma come, hai cambiato un’altra volta lo spazio?” “Sì sai, perché questo spazio mi serviva per questi altri titoli”. È un divertimento bellissimo, ma è anche naturale. Arrivi e ti dici, oggi devo cambiare qualcosa e sposti i mobili, riorganizzi gli scaffali, trasferisci i titoli da un’altra parte: poi realizzi che magari è perché erano aumentate le quote di libri per più piccoli e ti serviva lo spazio. Sono movimenti che ti vengono naturali, li fai e solo dopo capisci: era per questo! È il movimento la chiave della libreria, infatti la fatica dei bandi è che sono irregimentati, incardinati.

L’altra questione, come ti ho detto, è quella del tempo, di darsi tempo. Piuttosto che prendere in blocco tutte le varie novità, io preferisco ordinare più numeri di un singolo titolo che mi ha colpito, perché me lo voglio leggere, lo voglio promuovere, voglio che le persone lo possano approfondire. Non ho questa idea della bulimia: preferisco poche cose, che studiamo bene. Che accompagniamo nel tempo, nell’evoluzione. E poi passi ad un altro titolo. Oppure accade che mentre stai leggendo una cosa, ti si aprano altri cento rimandi, che poi andrai ad approfondire. Cerchi di dare una sistematicità alle cose, altrimenti è come voler provare tutto e poi alla fine rischi di confonderti. È come con i bambini: perché ripetono sempre lo stesso libro? Hanno bisogno proprio di apprenderlo, di coglierne tutti gli aspetti, di fare un’esperienza fino in fondo e poi di separarsene e punto. Lo prendono, lo sanno a memoria e poi dopo addio per sempre. Ma noi non le impariamo queste cose!

In parte ce lo hai già raccontato, ma come possiamo costruire un futuro per la lettura?

…continuando a leggere e a raccontare. Continuando a leggere ad alta voce. Andando nelle scuole. Favorendo la presenza di autori e incontri di lettura. Creando le condizioni per cui il libro possa essere conosciuto, incontrato, assaporato. La scorsa settimana abbiamo letto a Villa Torlonia e così abbiamo fatto per tutto settembre e ottobre, un telo, una borsa di libri e la voglia di condividere un testo ad alta voce.

Da tre anni abbiamo un gruppo di lettura per adulti, da due gruppi di lettura per tutte le classi della primaria. Scegliamo un libro, lo leggiamo a casa e una volta al mese ci incontriamo per parlarne. È un allenamento, un’educazione, una sana abitudine che coltiviamo e che diventa contagiosa, in casa, a scuola, tra gli amici. I libri e le relazioni che creano devono entrare nella nostra quotidianità perché come sintetizza il claim della nostra libreria se leggi fai strada, se leggi cresci, se leggi cammini, se leggi vai avanti e con te va avanti la comunità in cui vivi.

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