2, Archivi nella rete: strategie e modelli

[Nel corso dell’anno accademico 2021/2022, il Gramsci centre for the humanities ha preso parte a un progetto d’ateneo dell’Università degli studi della Repubblica di San Marino dal titolo Gli archivi politici sammarinesi: censimento, digitalizzazione, fruizione[1]Coordinato da Luca Gorgolini (Unirsm), da Michele Chiaruzzi (Unibo; Unirsm), e dal nostro direttore, Massimo Mastrogregori, il progetto si è avvalso della consulenza scientifica di un gruppo di … Continue reading.

L’esito finale di questo lavoro sarà la pubblicazione di una guida agli archivi censiti di personalità e partiti politici, arricchita di approfondimenti teorici, che si configurerà come un primo indispensabile strumento di accesso ai patrimoni presenti sul territorio della Repubblica; accanto a ciò, come Gramsci centre, abbiamo provato a ragionare sulla formulazione di una proposta di digitalizzazione del materiale individuato, che ne predisponga la fruizione e la più ampia valorizzazione[2]Il video mockup del portale è accessibile a questo link..

Nella nostra prospettiva, l’occasione è stata però preziosa anche per impostare un primo lavoro di studio generale sulle diverse possibilità e forme di riversamento, resa e fruizione dei documenti archivistici in ambiente digitale. L’attenzione a come la rivoluzione digitale sta cambiando le modalità di produzione, elaborazione, consumo della cultura e della conoscenza, nelle sue svariate declinazioni, è infatti una delle direttive che guidano il lavoro del nostro centro fin dalla sua fondazione.

Il primo frutto di questa riflessione saranno quattro uscite, curate da Andreas Iacarella, che si configurano come un tentativo di approfondire il dialogo e la riflessione su un tema che appare quanto mai urgente sollecitare. Siamo certi che il carattere tecnico e scientifico del discorso non possa essere eluso, e che dunque il dibattito dovrà essere sempre più portato in una dimensione di estrema interdisciplinarietà, che coinvolga tutti gli attori in causa: professionisti della comunicazione, del knowledge design, dell’informatica, specialisti dei beni culturali (archivisti, bibliotecari, curatori ecc.), nonché storici, storici dell’arte e tutte quelle categorie di studiosi che degli archivi rappresentano i tradizionali fruitori. I diversi saperi dovranno non solo parlarsi, ma intrecciarsi, ibridarsi, perdendo certamente qualcosa delle loro specificità, a vantaggio però di una più avanzata progettualità degli ambienti digitali archivistici, che possa farsi avanguardia nella costruzione della memoria comune delle collettività di riferimento. In quest’ottica, quanto vogliamo offrire non è che un piccolo contributo critico alla discussione, con la presentazione di alcuni problemi e questioni generali, nella speranza che ciò possa suscitare ulteriori riflessioni.

Sommario delle puntate:

1.   I beni culturali in ambiente digitale: dal catalogo al web semantico, problematiche e prospettive

2.   Archivi nella rete: strategie e modelli

a.   Dall’inventario online alla digital library: esperienze a confronto

b.   Costruire una narrazione: i percorsi della storia nel web

3.   Gli archivi della politica sul web

a.   Gli archivi politici italiani e la sfida di internet: un percorso accidentato

b.   Lettere e spot: due casi riusciti di valorizzazione

c.   Da Archivi del Novecento a 9centRo: esperienze di rete a confronto

4.   Il caso Europeana e altre esperienze internazionali di condivisione della memoria]

Nel precedente episodio abbiamo provato a illustrare alcune delle problematiche e delle potenzialità che si incontrano nella digitalizzazione dei beni culturali, prendendo il termine nella sua accezione più ampia. Inizieremo ora ad avvicinarci in modo particolare al mondo degli archivi, individuando attraverso alcuni esempi italiani le tipologie maggiormente adottate di resa digitale dei documenti archivistici e i loro rispettivi limiti.

Risulta chiaro come la scelta della modalità di pubblicazione sul web dei documenti o dei complessi archivistici dipenda sempre anche dagli strumenti adottati, lo strumento non è mai neutro, e in questo senso il discorso necessiterebbe di un approfondimento più spiccatamente tecnico. Nel presente contributo ci limiteremo però a ragionare nella prospettiva che ci siamo prefissati, limitandoci a presentare alcuni problemi generali, rimandando ad altra occasione un dialogo con altri professionisti.

Possiamo sostanzialmente individuare due grandi tipologie: una presentazione più “neutra”, in cui ciascun utente possa cercare da sé la documentazione all’interno della sua organizzazione originaria, come avviene in archivio, oppure una narrazione, la strutturazione di un percorso di senso.

  1. Dall’inventario online alla digital library: esperienze a confronto

L’inventario digitalizzato

Rispetto alla prima tipologia, la forma più semplice che si può incontrare è quella che riproduce online l’organizzazione del fondo, il suo inventario in sostanza, sotto forma di alberatura archivistica: l’utente può navigare tra le diverse partizioni (serie, sottoserie, fascicoli ecc.), leggerne le rispettive descrizioni e accedere alle riproduzioni digitali, quando presenti. Ne è un buon esempio, nella sua essenzialità, il portale dell’Archivio storico del Senato della Repubblica, che riunisce i complessi detenuti direttamente dal Senato e alcuni appartenenti a istituti esterni legati da convenzioni con l’Archivio storico. Dalla pagina principale l’utente può individuare il fondo di suo interesse, accedere alla descrizione e all’introduzione archivistica, e, nel caso sia stato digitalizzato, all’inventario del fondo, disponibile sotto forma di alberatura navigabile; le unità archivistiche sono adeguatamente contestualizzate da schede di descrizione alle quali, eventualmente, sono allegate immagini digitali in pdf dei documenti. Il portale offre anche la possibilità di una ricerca per termine, libera o avanzata, nel complesso dei fondi, limitata però ai lemmi presenti nei titoli e nelle descrizioni delle diverse unità o ai nomi indicizzati, oltre che alle date; questa modalità di ricerca restituisce un elenco cronologico di documenti, raffinabile attraverso un numero limitato di campi, che rende la navigazione poco fluida.

D’altro canto, l’indicizzazione presentata nelle schede descrittive è piuttosto essenziale (limitata a enti, antroponimi e luoghi) e le caratteristiche del software utilizzato non sembrano consentire di sfruttare a pieno le potenzialità semantiche e di costruzione di relazioni che la messa in comune di tali dati potrebbe generare. Appare immediatamente chiaro come uno strumento di questo tipo sia utile per gli studiosi, che possono identificare la documentazione di loro interesse (e in alcuni casi consultarla), senza recarsi presso gli istituti di conservazione, ma comunichi poco a un’utenza generalista. Il merito maggiore di questa tipologia di operazioni è certamente quello di mantenere una stretta aderenza rispetto alla modalità di organizzazione della documentazione in archivio, che consente almeno in parte di salvaguardare il contesto di provenienza[3]Sull’importanza del contesto per la documentazione archivistica cfr. S. Vitali, Ordine e caos: Google e l’arte della memoria, in A. Spaziante (ed.), Il futuro della memoria: la trasmissione del … Continue reading.

Audiovisivo in digitale

Allo stesso modello sembra aderire il portale online dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (AAMOD)[4]Entrambe le strutture informatiche, sia quella del Senato della Repubblica che quella dell’AAMOD, sono realizzate attraverso strumenti della società Regesta.exe, xFea nel primo caso, xDams nel … Continue reading. Del vastissimo patrimonio conservato dall’AAMOD, sono accessibili online la filmoteca/videoteca, gli archivi cartacei e parte della fototeca; i primi due consultabili attraverso un catalogo digitale che aderisce sostanzialmente alla stessa struttura vista per gli archivi del Senato. Si offre cioè la possibilità di navigazione dell’alberatura dei diversi fondi, più o meno approfondita, e di accesso alle descrizioni archivistiche delle varie partizioni, dal fondo alle singole unità, in base al caso; ai singoli oggetti possono essere allegate digitalizzazioni degli originali, in pdf se si tratta di documenti, sotto forma di video Youtube integrati alla descrizione se si tratta di materiale audiovisivo. Oltre a ciò, la ricerca libera estesa a tutto il patrimonio consente di richiamare la documentazione secondo diverse chiavi di accesso (persone, luoghi, soggetto produttore ecc.) o lemmi ricorrenti nel titolo o nella descrizione dell’oggetto. Da notare che in questo caso la ricerca avanzata contempla, limitatamente alla parte di videoteca, anche una voce “temi”, particolarmente preziosa per gli utenti; d’altronde, questa ulteriore chiave di accesso non sembra poggiare sulla creazione di un thesaurus o un soggettario ragionato ad hoc. Rispetto agli archivi del Senato, in questo caso le chiavi di ricerca per temi, luoghi, persone sono ben evidenziate già al primo accesso alla pagina[5]Nella colonna di ricerca, a destra, vengono elencate le voci con più occorrenze per ciascuna tipologia.; alla base di questa scelta c’è sicuramente una maggiore attenzione da parte dell’istituzione rispetto a un pubblico non specialista, attenzione che appare strettamente legata anche alla diversa natura degli archivi conservati. L’impatto immediato dei documenti audiovisivi su un pubblico generalista è certamente molto forte, soprattutto nel caso questi tocchino temi o personaggi che appartengono all’immaginario politico e civile di una nazione[6]A conferma di questa impressione, i video che hanno il maggior numero di visualizzazioni sulla pagina YouTube dell’AAMOD sono: “L’addio a Enrico Berlinguer”, con 73.403 visualizzazioni; … Continue reading.

La digital library

Sempre mantenendo in parte salva l’aderenza all’organizzazione originaria dei documenti, una forma più avanzata di presentazione dei fondi è quella sul modello delle digital library. Con questo termine si intendono oggi i «sistemi complessi, connessi in rete, usati per la comunicazione e la collaborazione di intere comunità, ovunque distribuite»[7]S. Giannini, “Archivi, biblioteche e la comunicazione possibile: il ruolo della tecnologia”, Archivi, X, 2 (2015), p. 98.; essi riuniscono collezioni di materiali, sia analogici che digitali, conservati nelle biblioteche, negli archivi, nei musei ecc. e offrono agli utenti un punto unificato di accesso ai documenti e ai diversi servizi. Risulta chiaro, dunque, come queste strutture costituiscano già un contesto adeguato nella direzione di quella interoperabilità cui accennavamo nella prima puntata[8]Cfr. M. Agosti, N. Ferro, G. Silvello, “Proposta metodologica e architetturale per la gestione distribuita e condivisa di collezioni di documenti digitali”, Archivi, II, 2 (2007), pp. 51-73..

Il focus delle digital library appare sui servizi[9]Sul tema, cfr. D. Segoni, “I servizi offerti da una digital library”, DigItalia, XVI, 1 (2021), pp. 38-62. e sulla condivisione dei saperi, infatti esse «mirano ad essere sia i depositi di varie forme di conoscenza sia i mezzi attraverso cui i cittadini possono accedere, discutere, valutare ed arricchire diversi tipi di contenuti informativi, anche con riferimento alla conservazione, alla valorizzazione e alla diffusione del patrimonio culturale»[10]M. Agosti, N. Ferro, “Interoperabilità tra sistemi di biblioteche digitali”, DigItalia, V, 1 (2010), p. 96..

Il caso ICAR

Un esempio di questo tipo in Italia è l’Archivio digitale dell’Istituto Centrale per gli Archivi (ICAR), una piattaforma che rappresenta un punto di accesso unificato al patrimonio digitalizzato conservato dagli Archivi di Stato e dalle Soprintendenze archivistiche e bibliografiche che hanno aderito al progetto e alle relative descrizioni. Il patrimonio può essere esplorato sia per ente o fondo di appartenenza, richiamando la struttura gerarchica ad albero rovesciato già evocata, sia attraverso ricerche ad hoc dell’utenza sull’intero patrimonio; queste possono essere semplici, per parole chiave, che vengono recuperate in tutti i campi del tracciato descrittivo, oppure avanzate. Quest’ultima modalità permette ricerche particolarmente mirate, consentendo di filtrare i risultati per estremi cronologici, per complessi, per unità archivistiche e documentarie (con tutti gli specifici parametri del caso).

Per la realizzazione di questo strumento si è adottato il software metaFAD[11]Cfr. L. Cerullo, A. Raggioli, “metaFAD. Sistema di gestione integrata dei beni culturali”, DigItalia, XII, 1/2 (2018), pp. 110-119., che con la sua struttura di metadati consente gestione, descrizione e catalogazione di beni di diversa natura, da quelli archivistici alle collezioni d’arte; lo strumento nasceva con l’idea di garantire l’interoperabilità tra le diverse tipologie di materiali, e dunque di standard descrittivi, obiettivo raggiunto solo parzialmente, con i diversi domini tematici che appaiono piuttosto giustapposti l’uno all’altro. La potenzialità della costruzione di raccolte o sequenze diverse dall’organizzazione originaria, ad esempio per tema, non sembra infatti molto sfruttata nel portale in oggetto, nel quale oltre all’accesso per fondo/complesso/unità archivistica e la ricerca libera viene offerta la possibilità di esplorare il patrimonio per progetto di digitalizzazione, per soggetto produttore, per soggetto conservatore, restando quindi sempre all’interno di classificazioni di tipo archivistico, che poco comunicano a un pubblico non specialista. L’aspetto certamente più interessante è che questa modalità di pubblicazione dei contenuti consente la collaborazione e la condivisione da parte di diversi istituti, preziosa in un panorama conservativo dispersivo come quello italiano, e al tempo stesso apre gli archivi digitali agli aggregatori nazionali e internazionali (Internet Culturale, Sistema archivistico nazionale, Europeana ecc.), andando nella direzione del paradigma Linked Open Data.

Dialogo con l’utenza

Dal punto di vista dell’utenza, il portale dell’ICAR resta poco intuitivo, come già detto, per chi non abbia già dimestichezza con la ricerca archivistica, a sottolineare che i suoi destinatari d’elezione restano studiosi e studenti. Rispetto a questa tipologia di fruitori, l’aspetto certamente più interessante sono gli strumenti offerti per la visualizzazione delle digitalizzazioni. Alla descrizione di ciascuna unità documentaria è associata un’immagine digitale del contenuto, nel viewer del portale questa può essere modificata (ruotata, manipolata rispetto a luminosità, contrasto, ecc.), annotata in varie forme, messa a confronto con altre immagini, affiancandole, si possono infine creare link per condividere porzioni specifiche dell’immagine.

Altro aspetto rilevante, rispetto al dialogo con gli utenti, è come attraverso questa tipologia di strumenti si modifichi la logica operativa alla base del trattamento dei beni culturali[12]La «catalogazione, la metadatazione, la digitalizzazione, la pubblicazione non sono solo integrati in un unico ecosistema, ma sono funzioni di un processo iterativo in continuo svolgimento», che … Continue reading. La digitalizzazione e la gestione non appaiono più come operazioni separate, ma strettamente interconnesse.

Patrimoni interconnessi

Sempre all’interno dello stesso modello, particolarmente interessante è il Polo digitale degli Istituti culturali di Napoli. Realizzato attraverso la collaborazione di cinque istituti[13]Cappella del tesoro di San Gennaro, Fondazione biblioteca Benedetto Croce, Istituto italiano per gli studi storici, Pio monte della misericordia, Società napoletana di storia patria., ha rappresentato il contesto di creazione e sperimentazione dello strumento metaFAD[14]L. Cerullo, “Il Polo digitale degli istituti culturali di Napoli”, DigItalia, X, 1/2 (2015), pp. 102-121..

La scelta di sviluppare uno strumento integrato per la catalogazione, gestione e fruizione digitale dei beni librari, archivistici e artistici che costituiscono il patrimonio degli istituti è stata dettata dalla volontà di permettere un accesso più storicamente contestualizzato a complessi fortemente interconnessi. Anche in questo caso, la piattaforma consente dunque di unificare le diverse operazioni e di raccogliere su un’unica base dati i record relativi ai diversi materiali (bibliografico, manoscritto, museale ecc.)[15]Per le specifiche tecniche cfr. la pagina dell’ICAR dedicata al progetto., conservando la diversità dei tracciati descrittivi.

Nel suo aspetto visivo, il portale ha un’impostazione più user friendly rispetto a quello dell’ICAR. Dalla pagina principale si accede all’elenco degli istituti e delle rispettive collezioni digitali possedute, presentati attraverso alcune immagini rappresentative. Sono mostrati in primo piano anche i “nuovi documenti” acquisiti, nonché i servizi che l’utente, previa registrazione al portale, può richiedere a distanza: la consultazione, la digitalizzazione e l’acquisto di copie digitali dei materiali.

Le ricerche possono essere effettuate a vari livelli: sull’intero patrimonio, per chiavi di ricerca semplici (“Chi”, “Cosa”, “Quando” o in tutti i campi descrittivi), limitatamente a una o più tipologie di documenti (libri, manoscritti, grafica, opere d’arte, documenti d’archivio) o di cataloghi (archivistico, bibliografico, storico-artistico), o tra le authorities (enti, persone, famiglie). È possibile poi condurre le ricerche direttamente sui diversi cataloghi (delle authorities, archivistico, storico-artistico, bibliografico), con chiavi di ricerca ad hoc rispetto alla tipologia. Per quanto riguarda la visualizzazione dei documenti digitalizzati, il viewer offre degli strumenti standard (ingrandimento, diverse modalità di vista) ma è certamente meno ricco di quello dell’Archivio digitale dell’ICAR.

Pregi e limiti

Questi due esempi crediamo siano sufficienti per illustrare le linee generali di questa modalità di resa digitale di contenuti, il cui vantaggio principale è certamente la possibilità di un’estesa interoperabilità e di accesso unificato a risorse altrimenti diffuse e disperse. In questo è possibile anche intravedere una funzione sociale di strumenti di questo genere, attraverso «l’adozione diffusa di questo nuovo sistema di gestione integrato da parte di enti pubblici e privati, come ad esempio enti locali e università» sarebbe possibile realizzare «quegli interventi di tutela e di valorizzazione del patrimonio archivistico, storico artistico e bibliografico disperso e a rischio di sopravvivenza, affinché possa essere finalmente ordinato, descritto, digitalizzato e restituito alla pubblica fruizione»[16]S. Moceri, “Ancora su MetaFAD: alcune considerazioni”, Il mondo degli archivi, 19 aprile 2017.. Non solo, la messa in relazione di complessi fortemente interconnessi, come quelli degli istituti napoletani, ma fisicamente separati consente virtualmente di ricostruire un comune contesto storico dei documenti, di collocarli in un intreccio di storie, ricontestualizzarli culturalmente, consentendo lo sviluppo di nuove linee di ricerca[17]Ibid.

Come evidente, restiamo qui però all’interno di un paradigma comunicativo che non si discosta troppo da quello “pre-digitale”: l’inventario, il catalogo, i tracciati descrittivi restano gli strumenti privilegiati di mediazione, pur nella maggiore ricchezza delle nuove chiavi di ricerca offerte. Di fondo, entrambe le sottotipologie che abbiamo brevemente esplorato hanno all’origine una stessa scelta metodologica e concettuale: la documentazione viene esplorata da ciascun utente con l’utilizzo di maschere di ricerca che consentono percorsi variegati ma, comunque sia richiamata, la documentazione viene sempre collocata all’interno dell’organizzazione originaria. La novità maggiore per l’utente risiede nelle possibilità di interconnessione di patrimoni dislocati fisicamente in luoghi distinti, preservando al tempo stesso lo stretto legame di ciascun documento con il proprio contesto di origine. La scelta, almeno per gli esempi visti, è quella di restare all’interno di un pubblico costituito sostanzialmente da un’utenza specialistica, evitando un’ibridazione con altre modalità comunicative che, come accennato nella prima puntata, potrebbero invece rappresentare un’inedita ricchezza.

Costruire una narrazione: i percorsi della storia nel web

Il discorso cambia con la seconda tipologia di pubblicazione cui abbiamo fatto riferimento in apertura, quella che rispecchia un progetto, costituendo l’equivalente, in ambiente digitale, di una mostra. È chiaro come alla base di queste operazioni vi sia in partenza un intento comunicativo molto più forte, che può essere diretto a singole comunità o all’intera collettività nazionale, e di conseguenza dunque un’attenzione a un’utenza che si vorrebbe più variegata degli abituali frequentatori di archivi.

All’origine di progetti di questo tipo non vi è tanto l’interesse conservativo e gestionale legato a specifici fondi o istituzioni, quanto la volontà di proporre un racconto, un percorso in tutto o in parte predeterminato, basato sulla documentazione archivistica proveniente anche da complessi diversi, ma riunita intorno a un tema. I software per la creazione di mostre online sono numerosi, segnaliamo ad esempio, per la sua ampia diffusione, il progetto MOVIO, realizzato dall’Istituto centrale per il catalogo unico (ICCU) in collaborazione con la Fondazione Telecom Italia e con il GruppoMeta[18]Cfr. M. T. Natale, R. Saccoccio, “MOVIO – Kit per la realizzazione di mostre virtuali online”, DigItalia, VIII, 2 (2013), pp. 138-153..

Gallerie e mostre

La modalità più essenziale, ancorché ormai ampiamente obsoleta, di presentazione online delle mostre digitali è quella delle semplici gallerie: sequenze di immagini su un tema, a volte anche disordinate, accompagnate da didascalie o poco altro. Lo scopo è essenzialmente quello di mostrare quanto è presente intorno a un soggetto, raggruppando i documenti per macrocategorie. Ne è un esempio molto essenziale il progetto 14-18: Documenti e immagini della Grande guerra, nato nel 2005 con il coordinamento dell’ICCU e ampliatosi via via negli anni con lo scopo di raccogliere su un’unica piattaforma le testimonianze (archivistiche, bibliografiche, fotografiche, artistiche ecc.) sulla Grande guerra conservate da numerosi istituti[19]L’elenco completo dei partecipanti è disponibile sul sito del progetto..

L’accesso ai documenti avviene sostanzialmente sulla base della scelta della tipologia materiale degli oggetti: fotografie, stampati, manoscritti, grafica, periodici, cimeli, monumenti e lapidi, registrazioni sonore. Selezionando una categoria, si accede a un elenco degli oggetti digitali presenti corrispondenti a essa, per ciascuno è presente una descrizione piuttosto scarna e l’indicazione dell’ente di provenienza, ma i documenti appaiono fortemente decontestualizzati[20]Per quanto riguarda i documenti di natura archivistica è difficile, nella maggior parte dei casi, risalire ai fondi di appartenenza.. Anche nella modalità di ricerca per termini, semplice o avanzata, gli unici filtri che è possibile inserire riguardano la tipologia e l’ente di appartenenza del documento.

Con tutta evidenza, la scelta di raccontare un evento fondante la memoria storica del paese attraverso un percorso quasi interamente rappresentato da immagini ha a che fare con la convinzione che i materiali fotografici e iconografici siano più facilmente spendibili in un ambiente, quello digitale, in cui la cultura visuale sembra dominare su quella testuale[21]Cfr. E. Grossi, “Si chiude un archivio, si apre un portale. Gli album fotografici della guerra nello schermo digitale del Centenario”, Novecento.org, 7 (feb. 2017).. Ma in questo modo l’attenzione viene posta prevalentemente sul piano estetico, mettendo in risalto il «“livello connotativo (il significato simbolico, metaforico ecc. che l’immagine assume al di là di quello che vi è materialmente raffigurato)” piuttosto che il “livello denotativo”», ovvero ciò che vi è raffigurato; si gioca dunque sul «richiamare alla mente il già noto, piuttosto che a trasmettere nuove conoscenze», affidandosi alla «capacità della fotografia di coagulare memorie»[22] S. Vitali, Passato digitale. Le fonti dello storico nell’era del computer, Mondadori, Milano 2004, p. 100..

Anche quando questi progetti hanno una strutturazione tecnologica più avanzata, il rischio di un uso puramente evocativo delle immagini è forte. Prendiamo l’esempio, sullo stesso tema, del progetto dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano Vedere la Grande Guerra. Immagini della prima guerra mondiale, nato dall’aggregazione di materiali provenienti da diversi istituti. Qui le immagini sono organizzate secondo un’ontologia, seppure piuttosto semplice. Ciò permette di esplorare le risorse digitalizzate non solo per gallerie tematiche, ma anche per percorsi (arte e guerra, donne e guerra, il lutto e la memoria, l’immagine della guerra, la memoria moderna), a loro volta comprendenti dei sottotemi. Le immagini sono tuttavia accompagnate da didascalie stringate, che non forniscono tra l’altro alcuna informazione circa la provenienza dei documenti, e anche i testi che introducono i diversi temi appaiono piuttosto poveri. Con tutta evidenza, la comunicazione del portale gioca dunque sull’evocazione del già noto, come visto in precedenza, inserendosi in una narrazione nazionale pubblica sostanzialmente condivisa, senza suggerire ulteriori approfondimenti o problematizzazioni.

Ontologie

L’ontologia è, come visto nella prima puntata, lo strumento che consente all’interno di questi progetti di digitalizzazione il salto verso un’organizzazione della conoscenza più complessa, a grafo. Attraverso l’OWL (Web Ontology Language) si codifica il «legame che relaziona un nodo/entità al resto della rete, la sua natura, quale contenuto esso esprime, e le modalità attraverso cui questo contenuto deve essere gestito/elaborato/interpretato»[23]S. Di Fazio, Le ontologie. Nuovi paradigmi per la descrizione e l’interoperabilità, intervento al convegno Descrivere gli archivi al tempo di RiC, Ancona, 18 ottobre 2017, p. 4.; cioè in sostanza si concatenano «particelle elementari di informazione», che si irradiano e propagano «in molteplici direzioni» partendo da una struttura logica a tripla (soggetto-relazione/predicato-complemento)[24]Ivi, p. 5..

La creazione di ontologie complesse richiede dunque un notevole lavoro epistemologico, oltre che tecnologico, nella definizione di domini in cui le relazioni siano esplicative e non carenti o contraddittorie. I contesti tematici vanno esplorati e definiti in partenza, compito che è indubbiamente più agevole quando si ha a che fare con ambiti contenuti o comunque omogenei. Un processo di tal genere ha delle ricadute sulla stessa descrizione della risorsa, essa «non corrisponde più al semplice inserimento di un mattoncino informativo collocato in un punto preciso di un sistema complesso», «si persegue non tanto la raccolta di quanti più dati possibile (es. indicizzazione) ma piuttosto l’esplicitazione di fatti impliciti, l’individuazione dei contesti (…) e delle relazioni con gli elementi contestuali»(Ivi, pp. 10-11.), in modo da aumentare la complessità e l’estensione del grafo, quindi del modello di conoscenza alla base del sistema.

Il racconto dei Presidenti

Un progetto con un’organizzazione di questo tipo avanzata è il Portale storico della Presidenza della Repubblica, realizzato dall’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, con la collaborazione della società Regesta.exe. Lo scopo era di «realizzare un sistema informativo, una digital library ed un repository di risorse pubblicate  in  formato  Linked  Open  Data  (LOD)  (…),  popolati  da  fonti  documentarie e visive opportunamente trattate, indicizzate e organizzate, integrate da risorse di Camera e Senato, da porre a disposizione del pubblico» ma anche «delle  esigenze  di  descrizione  ed  “inventariazione”  degli  archivi, compresi quelli correnti, degli Uffici e dei Servizi del Segretariato generale» del Quirinale[25]M. Giannetto, “La memoria nel tempo delle reti e del digitale. L’Archivio storico della Presidenza della Repubblica e il suo Portale storico”, DigItalia, XIV, 2 (2019), p. 126.. Il modello tecnologico alla base è piuttosto complesso, organizzato intorno a due ontologie, una per la descrizione della documentazione, l’altra per quella di agenti e funzioni[26]I dati tecnici sono consultabili sulla pagina Linked Open Data del portale.; in questo caso il dominio tematico molto limitato favorisce, come detto, la costruzioni di percorsi articolati di ricerca e di esplorazione delle risorse.

Il portale ha un’impostazione decisamente accogliente nei confronti degli utenti. Come chiavi immediate di accesso alla documentazione sono offerte le biografie dei diversi presidenti, a ciascuno dei quali sono associati eventi, discorsi, documenti, immagini ecc., e il Diario storico della Presidenza, recante l’intero calendario degli impegni pubblici dei presidenti. In entrambi i casi le pagine rimandano sia a materiali interni al portale che a risorse esterne, di varia provenienza. Nella homepage appaiono anche due slideshow interattivi (“Accadde oggi” e “Il documento del giorno”) che appaiono particolarmente indicati per sollecitare l’interesse di un pubblico generalista verso il patrimonio conservato. Interessante notare come il lavoro di ricostruzione biografica sia stato condotto anche sui Segretari generali e sulle figure dell’amministrazione, quali Consiglieri e Capiservizio. Tutto ciò denota un impegnativo lavoro redazionale e di ricerca alla base del progetto, evidente non solo nella struttura tecnologica sottostante, ma anche nella ricchezza di descrizioni che vengono offerte al pubblico ad accompagnare tutte le diverse entità e risorse. Sono proposti anche percorsi tematici preordinati attraverso la documentazione (“«Viaggio in Italia». I Presidenti e la società italiana”, “Vite da Presidente. Dalla nascita della Repubblica ai nostri giorni” ecc.) e mostre digitali, oltre alla possibilità di navigare gli archivi esplorando l’alberatura dei fondi, effettuando ricerche per termini, o consultando i pdf dei repertori archivistici.

Data la natura istituzionale del progetto, è evidente come esso sia sorto intorno a un’esigenza comunicativa molto forte, espressione di una «pedagogia presidenziale che (…) ha attuato una policy centrata sulla apertura totale del Palazzo del Quirinale al pubblico»[27]Ivi, p. 127., nella quale dunque il portale si configura come «un punto d’incontro fra la Presidenza e la cittadinanza»[28]Ivi, p. 128.. Ci è sembrato questo un esempio di narrazione particolarmente riuscito e funzionale, in rapporto ai propri scopi, che fornisce all’utenza una serie differenziata di livelli di accesso alla documentazione, preservando da un lato l’attenzione alla conservazione, alla contestualizzazione e al trattamento dei documenti archivistici, dall’altro un’esigenza narrativa e di facile interazione che va incontro a un pubblico vasto. Il portale permette l’accesso unificato a un archivio virtuale costituito in realtà da archivi fisicamente distinti, consente di intrecciarli attraverso percorsi sincronici e diacronici, facendo tesoro di una stretta collaborazione tra comunità archivistica e scientifica; è questa collaborazione che «riarticola, qualifica e ispessisce quell’inquadramento  storico-temporale»,  già inscritto nelle tradizioni archivistiche, facendo sì che la «carta d’archivio digitalizzata non si riduca» a «informazione confusa e immediata»[29]Ivi, p. 136. ma diventi pienamente veicolo di senso e strumento di costruzione di una memoria consapevole.

Classificazioni provvisorie

Ci sembra attraverso questi pochi esempi di aver illustrato, dal punto di vista dell’utente, le due principali modalità che possono guidare l’offerta online delle risorse archivistiche. Naturalmente, ogni classificazione appare provvisoria e suscettibile di approfondimento, in quanto la realtà dei progetti e delle sperimentazioni presenti sulla rete offre un panorama quanto mai variegato e intricato.

Altri criteri potrebbero essere scelti come distintivi, come quello suggerito da Stefano Vitali tra «archivi digitali», basati sulla riproduzione online di interi fondi o comunque di complessi documentari organici e «sul rispetto (…) dei contesti archivistici d’origine»[30]S. Vitali, La ricerca archivistica sul web, in R. Minuti (ed.), Il web e gli studi storici. Guida critica all’uso della rete, Carocci, Roma 2015, p. 92., e «archivi inventati», secondo la definizione di Roy Rosenzweig[31]Cfr. R. Rosenzweig, The road to Xanadu: public and private pathways on the history web, in Id., Clio Wired. The future of the past in the digital age, Columbia UP, New York 2011, pp. 203-235., che puntano «sulla riproduzione di singoli documenti, aggregati per lo più in (…) mostre virtuali che si rivolgono a un pubblico indifferenziato»[32]S. Vitali, La ricerca archivistica sul web cit., p. 91..

Oppure, spostandosi al livello del documento, si potrebbe recuperare la distinzione proposta da Manfred Thaller, secondo il quale un oggetto digitale può essere definito:

«(…) illustrative, if its quality is sufficient to allow a user to make an informed decision about whether access to the original is worthwhile (…).

(… ) readable, if its quality allows the user to access all the information that the creator of the original object wanted to convey to the user (…).

(…) paleographic (…) if the quality allows the user to access all the information that can be derived from the original with the unaided eye (…).

(…) enhanceable if the digital version provides access to information that cannot be extracted from the original with the unaided eye. Image enhancement may, for example, make erasures legible again»[33]M. Thaller, “From the Digitized to the Digital Library”, D-Lib Magazine, 7, 2 (2001)..

Questo solo per offrire ulteriori spunti di riflessioni e per dare un’idea dell’ampiezza del dibattito sul tema, che coinvolge una moltitudine di competenze e ambiti disciplinari. Più banalmente, si potrebbe anche evidenziare come possano esistere forme miste, nelle quali una struttura da digital library, che rende possibile richiamare l’alberatura dei fondi, si accompagni con percorsi, esposizioni, punti differenziati di esplorazione del patrimonio. Questa modalità può costituire l’alternativa alla semplice mostra, evitandone sia il carattere fortemente decontestualizzante sia la stretta predeterminazione, senza arrivare alla complessità di modelli ontologici articolati, che richiedono un enorme lavoro informatico, redazionale, archivistico e di ricerca.

Modelli misti

Due buoni esempi ibridi possono essere, in questo senso, il portale del progetto Una città per gli archivi, che raccoglie le risorse su una parte rilevante degli archivi otto-novecenteschi per la storia della città di Bologna[34]Il progetto è nato su iniziativa della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e grazie alla consulenza scientifica di un comitato di esperti., e il sito ASPI – Archivi storici della psicologia italiana, che permette l’accesso agli archivi digitalizzati di diversi protagonisti italiani della psicologia e della psichiatria[35]Il portale è realizzato e curato dall’omonimo centro di ricerca dell’Università degli studi di Milano-Bicocca, che si occupa di censire, acquisire, ordinare e in parte digitalizzare i complessi … Continue reading.

Entrambi i progetti hanno in partenza un focus tematico molto forte e sufficientemente circoscritto. Questa peculiarità è stata sfruttata, in ambo i casi, per la costruzione di modalità di esplorazione dei patrimoni variegate e che possano incontrare le esigenze di un pubblico differenziato. Ci limiteremo qui a segnalare brevemente alcune peculiarità dei due portali.

Il primo consente, oltre alla modalità di ricerca più canoniche, una ricerca per “parole chiave” che è particolarmente funzionale: oltre all’indicizzazione dei toponimi, degli enti, dei nomi di persona e di famiglia, è infatti stato realizzato un indice ragionato degli argomenti trattati che contiene oltre 1300 termini. Esso può essere interamente esplorato, in modo da individuare i lemmi di interesse per le proprie ricerche. Sempre ai ricercatori è destinato un altro strumento, di particolare interesse: uno spazio “Contributi di ricerca” che ha lo scopo di accogliere interventi di studiosi utili ad approfondire la contestualizzazione e l’inquadramento storico di carte, inventari, archivi, soggetti ed eventi. Questo è uno dei segnali, tangibili, di come il portale sia nato nell’ottica di uno stretto dialogo con gli utenti, che ha riguardato anche la sua stessa progettazione[36]Cfr. P. Feliciati, Convergere a valle. Lo studio del punto di vista degli utenti degli ambienti culturali digitali e l’esperienza del progetto “Una città per gli archivi”, in F. Ciotti … Continue reading.

A un pubblico più ampio sono invece rivolti i due ambienti Percorsi e Mostre virtuali: il primo consente la ricerca tramite l’ontologia di riferimento (in questo caso il dominio è la città di Bologna), consentendo l’esplorazione delle relazioni che legano tra loro le varie istanze (persone, luoghi, eventi ecc.); il secondo raccoglie documenti secondo un progetto espositivo, nella forma di galleria di immagini accompagnate da didascalie[37]Per approfondimenti sul progetto, cfr. A. Antonelli, “Istantanea “Una Città per gli Archivi”: istituzioni, fatti, persone, tempi, modi, prospettive e storia di un progetto archivistico … Continue reading.

Integrazione tra saperi

Il portale ASPI – Archivio storico della psicologia italiana offre la consultazione online degli archivi detenuti dall’omonimo centro di ricerca e, grazie a specifiche convenzioni, di quelli conservati presso altri enti. L’intento del centro era quello di dare forma a un «luogo fisico e virtuale di condivisione e collaborazione tra archivisti, storici, informatici e utenti diversi, un ambiente condiviso in cui è possibile mettere in comune le rispettive conoscenze e proporre nuove ricerche»[38]P. Zocchi, “Il progetto Archivi storici della psicologia italiana, Archivi, IX, 2 (2014), p. 122.. Accanto alle schede descrittive dei fondi e delle diverse unità archivistiche sono stati dunque costruiti, sul sito, spazi di approfondimento specifici (su protagonisti, luoghi, riviste, percorsi ecc.)[39]Da notare che essi non riguardano solamente i soggetti o gli enti contemplati dagli archivi presenti online, ma tentano di ricostruire l’intero panorama delle discipline piscologiche e … Continue reading che vengono arricchiti dai contributi di specialisti e che possono fungere da chiavi di accesso anche per i meno esperti alla documentazione digitalizzata. A ciascun contenuto sono infatti associati gli archivi on-line, i patrimoni, i personaggi, gli approfondimenti collegati.

Oltre alla ricerca per termine, all’interno degli inventari molto analitici e degli altri contenuti presenti sul sito, è possibile anche una ricerca semantica, che poggia su un’ontologia specifica. I risultati di ricerca vengono inoltre suddivisi per tipologia, in modo da facilitare l’orientamento dell’utente. Accanto a ciò, sono stati introdotti dei modelli di navigazione basati su un approccio visuale, fortemente intuitivi: una mappa delle relazioni esistenti tra i protagonisti censiti, una navigazione temporale e una spaziale.

Questo portale si configura quindi come un esempio avanzato di integrazione tra saperi e di stretta collaborazione tra la comunità scientifica e quella archivistica, che ha consentito la creazione di una piattaforma a forte impatto divulgativo e didattico, pur mantenendo salva per gli studiosi la possibilità di accedere direttamente alle fonti e alla loro contestualizzazione. È anzi proprio il ruolo degli studiosi che diventa centrale, almeno negli intenti: integrando nello stesso luogo produzione scientifica, informazione archivistica e fonti è possibile infatti costruire dei percorsi multimediali che possano accompagnare il lettore, mostrando nella sua complessità la natura dell’attività di ricerca, e accorciando la distanza tra momento dell’indagine e della comunicazione dei risultati[40]Per approfondire, cfr. L. Bollini et al., “Le trame invisibili. Nuove modalità di esplorazione online dell’Archivio storico della psicologia italiana”, Umanistica digitale, 1, 1 (2017), pp. … Continue reading. Sembra in questo modo di poter coinvolgere gli utenti nel processo di scoperta, fornendo non un’immagine conciliata, ma una moltitudine di storie e narrazioni intrecciate; storie che sono soggette a continuo approfondimento e rimodellamento, per la natura dinamica, attiva e collaborativa del portale[41]A proposito delle potenzialità ipermediali della storiografia digitale, come processo in divenire, cfr. S. Noiret, “La «nuova storiografia digitale» negli Stati Uniti (1999-2004)”, Memoria e … Continue reading.

Modelli di conoscenza

Ci sembra così di essere arrivati a toccare un punto centrale di questa nostra presentazione analitica. Sebbene non sia sempre facile determinare in partenza cosa sia più accessibile, o più accattivante, per un pubblico non specialistico e spesso la fortuna degli strumenti dipenda più dal “cosa” si pubblica, che non dal “come” lo si fa[42]Noto il caso del Portale Antenati, per la ricerca genealogica, che nonostante una presentazione dei documenti scarsamente contestualizzata e una navigazione piuttosto farraginosa, soprattutto nelle … Continue reading, siamo convinti che le potenzialità dello strumento digitale vadano esplorate fino in fondo, anche a costo di perdere qualcosa in termini di rigore disciplinare. La discussione sulla forma che l’archivio può assumere in ambiente digitale deve diventare sempre più un terreno comune tra utenti, archivisti, informatici, storici, designer, studenti e tutte le categorie coinvolte e mettere in questione le forme stesse della descrizione così come della produzione di conoscenza.

Nel web le informazioni si possono aggregare, disaggregare, ricomporre in forma sempre mutevole, intrecciando e stratificando relazioni e letture complesse. Come ha affermato Jim Mussell:

«What is at stake in the shift towards history 2.0 is the status of the archive. No serious historian would deny that history is a process and its findings contingent, but often the admission of history’s dynamism depends on the tacit assumption that the archive remains static, a fixed point of reference through which history corrects itself»[43]J. Mussell, Doing and making. History as digital practice, in T. Weller (ed.), History in the Digital Age, Routledge, London and New York 2013, p. 87..

Ma le interpretazioni storiche non giacciono fisse nelle tracce del passato, «historical significance is a product of discourse rather than intrinsic to anything we inherit from the past»[44]Ivi, p. 88.. Se cominciamo a mettere in discussione dunque la stabilità dell’archivio e la sua separazione dal processo di ricerca storica, «if we recognize that in transforming the archive and rendering it processable it becomes something different, then these [digital] resources become constitutive parts of the archive and so subject to analysis in their own rights»[45]Ivi, p. 80.. Così quelli digitali non sono solamente strumenti, ma possono diventare nuovi modelli di senso, da intrecciare con consolidate ermeneutiche, che permettono di rivelare trame, mappe, letture.

Pur nella consapevolezza di quanto si perda nella mediazione web e quindi della critica specifica che alle fonti digitali va rivolta[46]Cfr. S. Vitali, La ricerca archivistica sul web cit., pp. 91-96; Id., “Navigare nel passato. Problemi della ricerca archivistica in Internet”, Contemporanea, IV, 2 (2001), pp. 181-204., bisognerebbe con sempre maggiore convinzione confrontarsi circa i guadagni possibili delle nuove modalità di organizzazione e comunicazione della conoscenza. La stessa descrizione archivistica è in fondo un processo aperto, perfettibile, e questa sua natura andrebbe valorizzata nell’impatto con gli ambienti digitali[47]«Non ha più senso nella società interconnessa e collaborativa pensare all’inventario come opera unica, perfetta e definitiva», occorre «contribuire, in prospettiva, alla condivisione di unità … Continue reading.

Descrivere, interpretare, comunicare possono diventare azioni sempre più interconnesse, che consentono tra l’altro la realizzazione di un’azione pubblica e attiva, per la valorizzazione della memoria e della storia come conoscenza critica del passato. Proprio perché la distinzione tra informazione e struttura dell’informazione risulta artificiale[48]S. Vitali, “Navigare nel passato…” cit., pp. 194-196., occorrerebbe ragionare sempre più a fondo sui nuovi modelli digitali per i documenti archivistici non solo in una prospettiva di standard o di «formalizzazione astratta di processi e oggetti», bensì di modelli intesi come «idea del mondo e degli aspetti di rilievo per i nostri scopi»[49]G. Michetti, “Se un leone potesse parlare, noi non potremmo capirlo. La comunicazione del patrimonio culturale in ambiente digitale”, AIB Studi, 58, 2 (2018), p. 219.. Rubando a Giovanni Michetti una citazione di Gramsci:

«Modello è lo schema tipico di un determinato fenomeno, di una determinata legge. Il succedersi in modo uniforme dei fatti permette di fissarne le leggi, di tracciarne gli schemi, di costruirne i modelli. Purché non si diano a queste astrazioni dell’intelletto valori assoluti, esse hanno una ragguardevole utilità pedagogica: servono mirabilmente per riuscire a collocarsi nel centro stesso dell’atto fenomenico che si svolge e va elaborando tutte le sue possibilità, tutte le sue tendenze finalistiche. E quando si è riusciti a compiere questo atto iniziale, il più è fatto: l’intelligenza riesce ormai a sorprendere il divenire del fatto, lo comprende nella sua totalità e quindi nella sua individualità. Il modello, la legge, lo schema sono in sostanza espedienti metodologici che aiutano a impadronirsi della realtà; sono espedienti critici per iniziarsi alla conoscenza e al saper esatto»[50]A. Gramsci, Modello e realtà, in Id., La città futura. 1917-1918, a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1982, p. 29..

References

References
1 Coordinato da Luca Gorgolini (Unirsm), da Michele Chiaruzzi (Unibo; Unirsm), e dal nostro direttore, Massimo Mastrogregori, il progetto si è avvalso della consulenza scientifica di un gruppo di ricerca composto, oltre che dai coordinatori, da Rosa Gobbi (Archivio di Stato della Repubblica di San Marino), Isabella Manduchi (Archivio di Stato della Repubblica di San Marino), Matteo Sisti (Memorie di Marca) e Stefano Vitali (già direttore dell’Istituto centrale per gli archivi). Il censimento è stato realizzato da Damiano Muccioli, mentre alla proposta di digitalizzazione hanno lavorato, per il nostro centro, Alessandro Fiorentino e Andreas Iacarella.
2 Il video mockup del portale è accessibile a questo link.
3 Sull’importanza del contesto per la documentazione archivistica cfr. S. Vitali, Ordine e caos: Google e l’arte della memoria, in A. Spaziante (ed.), Il futuro della memoria: la trasmissione del patrimonio culturale nell’era digitale, Csi Piemonte, Torino 2005, pp. 95-96.
4 Entrambe le strutture informatiche, sia quella del Senato della Repubblica che quella dell’AAMOD, sono realizzate attraverso strumenti della società Regesta.exe, xFea nel primo caso, xDams nel secondo.
5 Nella colonna di ricerca, a destra, vengono elencate le voci con più occorrenze per ciascuna tipologia.
6 A conferma di questa impressione, i video che hanno il maggior numero di visualizzazioni sulla pagina YouTube dell’AAMOD sono: “L’addio a Enrico Berlinguer”, con 73.403 visualizzazioni; “Napoli”, documentario-inchiesta del 1974 di Wladimir Tchertkoff, 62.168 visualizzazioni; “Primo Piano. Pier Paolo Pasolini”, documentario di Carlo Di Carlo, 60.490 visualizzazioni. I dati sono aggiornati al 7 marzo 2023.
7 S. Giannini, “Archivi, biblioteche e la comunicazione possibile: il ruolo della tecnologia”, Archivi, X, 2 (2015), p. 98.
8 Cfr. M. Agosti, N. Ferro, G. Silvello, “Proposta metodologica e architetturale per la gestione distribuita e condivisa di collezioni di documenti digitali”, Archivi, II, 2 (2007), pp. 51-73.
9 Sul tema, cfr. D. Segoni, “I servizi offerti da una digital library”, DigItalia, XVI, 1 (2021), pp. 38-62.
10 M. Agosti, N. Ferro, “Interoperabilità tra sistemi di biblioteche digitali”, DigItalia, V, 1 (2010), p. 96.
11 Cfr. L. Cerullo, A. Raggioli, “metaFAD. Sistema di gestione integrata dei beni culturali”, DigItalia, XII, 1/2 (2018), pp. 110-119.
12 La «catalogazione, la metadatazione, la digitalizzazione, la pubblicazione non sono solo integrati in un unico ecosistema, ma sono funzioni di un processo iterativo in continuo svolgimento», che può dunque essere costantemente aggiornato secondo nuove esigenze, rappresentando un esempio di «continuous delivery culturale». Ivi, p. 114.
13 Cappella del tesoro di San Gennaro, Fondazione biblioteca Benedetto Croce, Istituto italiano per gli studi storici, Pio monte della misericordia, Società napoletana di storia patria.
14 L. Cerullo, “Il Polo digitale degli istituti culturali di Napoli”, DigItalia, X, 1/2 (2015), pp. 102-121.
15 Per le specifiche tecniche cfr. la pagina dell’ICAR dedicata al progetto.
16 S. Moceri, “Ancora su MetaFAD: alcune considerazioni”, Il mondo degli archivi, 19 aprile 2017.
17 Ibid
18 Cfr. M. T. Natale, R. Saccoccio, “MOVIO – Kit per la realizzazione di mostre virtuali online”, DigItalia, VIII, 2 (2013), pp. 138-153.
19 L’elenco completo dei partecipanti è disponibile sul sito del progetto.
20 Per quanto riguarda i documenti di natura archivistica è difficile, nella maggior parte dei casi, risalire ai fondi di appartenenza.
21 Cfr. E. Grossi, “Si chiude un archivio, si apre un portale. Gli album fotografici della guerra nello schermo digitale del Centenario”, Novecento.org, 7 (feb. 2017).
22 S. Vitali, Passato digitale. Le fonti dello storico nell’era del computer, Mondadori, Milano 2004, p. 100.
23 S. Di Fazio, Le ontologie. Nuovi paradigmi per la descrizione e l’interoperabilità, intervento al convegno Descrivere gli archivi al tempo di RiC, Ancona, 18 ottobre 2017, p. 4.
24 Ivi, p. 5.
25 M. Giannetto, “La memoria nel tempo delle reti e del digitale. L’Archivio storico della Presidenza della Repubblica e il suo Portale storico”, DigItalia, XIV, 2 (2019), p. 126.
26 I dati tecnici sono consultabili sulla pagina Linked Open Data del portale.
27 Ivi, p. 127.
28 Ivi, p. 128.
29 Ivi, p. 136.
30 S. Vitali, La ricerca archivistica sul web, in R. Minuti (ed.), Il web e gli studi storici. Guida critica all’uso della rete, Carocci, Roma 2015, p. 92.
31 Cfr. R. Rosenzweig, The road to Xanadu: public and private pathways on the history web, in Id., Clio Wired. The future of the past in the digital age, Columbia UP, New York 2011, pp. 203-235.
32 S. Vitali, La ricerca archivistica sul web cit., p. 91.
33 M. Thaller, “From the Digitized to the Digital Library”, D-Lib Magazine, 7, 2 (2001).
34 Il progetto è nato su iniziativa della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e grazie alla consulenza scientifica di un comitato di esperti.
35 Il portale è realizzato e curato dall’omonimo centro di ricerca dell’Università degli studi di Milano-Bicocca, che si occupa di censire, acquisire, ordinare e in parte digitalizzare i complessi archivistici relativi alla storia delle scienze della mente in Italia.
36 Cfr. P. Feliciati, Convergere a valle. Lo studio del punto di vista degli utenti degli ambienti culturali digitali e l’esperienza del progetto “Una città per gli archivi”, in F. Ciotti (ed.), Digital Humanities: progetti italiani ed esperienze di convergenza multidisciplinare, Sapienza Università Editrice, Roma 2014, pp. 89-112.
37 Per approfondimenti sul progetto, cfr. A. Antonelli, “Istantanea “Una Città per gli Archivi”: istituzioni, fatti, persone, tempi, modi, prospettive e storia di un progetto archivistico locale”, Archivi & Computer, 2 (2012), pp. 7-36.
38 P. Zocchi, “Il progetto Archivi storici della psicologia italiana, Archivi, IX, 2 (2014), p. 122.
39 Da notare che essi non riguardano solamente i soggetti o gli enti contemplati dagli archivi presenti online, ma tentano di ricostruire l’intero panorama delle discipline piscologiche e psichiatriche in Italia tra Otto e Novecento.
40 Per approfondire, cfr. L. Bollini et al., “Le trame invisibili. Nuove modalità di esplorazione online dell’Archivio storico della psicologia italiana”, Umanistica digitale, 1, 1 (2017), pp. 59-84.
41 A proposito delle potenzialità ipermediali della storiografia digitale, come processo in divenire, cfr. S. Noiret, “La «nuova storiografia digitale» negli Stati Uniti (1999-2004)”, Memoria e Ricerca, 18 (2005), pp. 169-185.
42 Noto il caso del Portale Antenati, per la ricerca genealogica, che nonostante una presentazione dei documenti scarsamente contestualizzata e una navigazione piuttosto farraginosa, soprattutto nelle sue prime versioni, ha riscontrato fin dalla sua nascita un numero molto elevato di accessi. Un dato, questo, che varrebbe senz’altro la pena approfondire.
43 J. Mussell, Doing and making. History as digital practice, in T. Weller (ed.), History in the Digital Age, Routledge, London and New York 2013, p. 87.
44 Ivi, p. 88.
45 Ivi, p. 80.
46 Cfr. S. Vitali, La ricerca archivistica sul web cit., pp. 91-96; Id., “Navigare nel passato. Problemi della ricerca archivistica in Internet”, Contemporanea, IV, 2 (2001), pp. 181-204.
47 «Non ha più senso nella società interconnessa e collaborativa pensare all’inventario come opera unica, perfetta e definitiva», occorre «contribuire, in prospettiva, alla condivisione di unità informative contestualizzate, basate in parte sull’evidenza documentaria, in parte sulla ricerca bibliografica e su altre risorse informative in Rete, che nella Rete devono essere rese accessibili, comprensibili e aperte a connessioni semantiche e a collaborazioni (…) da parte della comunità dei professionisti della documentazione come degli utenti finali». P. Feliciati, Per una qualità ed etica della mediazione archivistica, in G. Di Marcantonio, F. Valacchi (eds.), Descrivere gli archivi al tempo di RIC-CM, eum, Macerata 2018, p. 29.
48 S. Vitali, “Navigare nel passato…” cit., pp. 194-196.
49 G. Michetti, “Se un leone potesse parlare, noi non potremmo capirlo. La comunicazione del patrimonio culturale in ambiente digitale”, AIB Studi, 58, 2 (2018), p. 219.
50 A. Gramsci, Modello e realtà, in Id., La città futura. 1917-1918, a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1982, p. 29.

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